mercoledì 23 febbraio 2011

L'opinione :"Ipocriti e cumenda"

Da che mondo è mondo coi dittatori ci si indigna in pubblico e si fanno affari in privato. A volte non ci si indigna neppure: si rimane zitti. Un silenzio interrotto solo dal fruscio dei soldi. Mai visto un politico o un imprenditore andare in Cina inalberando cartelli per il rispetto dei diritti civili. Si diventa esportatori della democrazia solo quando conviene, come in Iraq o in Afghanistan. Però esiste un limite che gli statisti cercano di non valicare ed è il rispetto di sé e del Paese che si rappresenta. Quel senso del decoro e delle istituzioni che ti impone di stringere la mano a Gheddafi, ma ti impedisce di baciargliela. Che ti costringe a riceverlo con tutti gli onori, ma non ti obbliga a trasformare la sua visita in una pagliacciata invereconda, con il dittatore a vita che tiene lezioni di democrazia all’università e pianta la sua tenda beduina in un parco storico della Capitale per ricevervi una delegazione di ragazze prese a nolo.

Berlusconi non ha fatto che applicare alle relazioni internazionali le tecniche di adulazione con cui i vecchi cumenda lombardi stordivano il cliente da intortare. Disposti a tutto pur di compiacerlo, considerando la dignità non tanto un accessorio quanto un ostacolo alla conclusione di un affare. Qualche lettore penserà: il cumenda di Stato è solo meno ipocrita degli altri. Verissimo. Ma a me sta venendo il dubbio che l’antica ipocrisia «borghese», contro cui da ragazzo mi scagliai anch’io, fosse preferibile all’attuale sguaiataggine.di Massimo Gramellini da la Stampa.it

lunedì 14 febbraio 2011

Pensieri su San Valentino...e non solo

14 Febbraio, San Valentino.

Dice Marcello: è possibile pensare ad un vino che si beve in due? Magari che accompagna un piatto che si mangia in due? Si Marcello, è possibile, possibilissimo, piacevole, piacevolissimo. Non scomodo Apicio e nemmeno Mastro Berardo. Io credo però che dei due bisogna parlare, immaginarli, altrimenti tutto diventa oggetto esanime, merce d'accatto, tintinnar di moneta o, peggio, manifesto di potere. L'amore è resa, abbandono, rilascio d'ogni resistenza, abbandono d'ogni calcolo e raffronto, sublimazione nel pensiero e nell'immaginario singolo e condiviso. È ossimoro fecondo nell'irrazionale lucidità che l'accompagna, nel confuso miscelar di membra che assegna nette funzioni ad ogni parte del corpo, nella violenta vitalità che ogni cellula sopita porta al risveglio. E i due me li immagino maturi, di lunga pezza, che si conoscono bene da tanto e che non hanno perduto la voglia di stupirsi. L'uno con la passione di agghindar la tavola e l'altro con quella di preparar da mangiare. E siccome io prediligo la seconda della seconda vi dico. In frigo una bottiglia di Spumante Rosé Rosa del Golfo. Ci si procurano alcune fette sottili di Capocollo di Martina, una dozzina di gamberoni Gallipolini e un avocado sodo e maturo. OEVO, sale nero di Cipro, pepe bianco, erba cipollina e un limone e un'arancia, e della rucola selvatica.

In una bottiglietta come quella dei succhi di frutta ben lavata si mette qualche cucchiaio di OEVO e il succo di mezzo limone, un pizzico di sale e del pepe. I gamberoni si privano di testa e carapace, si dispongono in una terrina e, agitata la bottiglietta, si bagnano con l'emulsione che s'ottiene e si lasciano riposare. Intanto si pulisce l'avocado, si taglia a tocchetti e si dispone in una zuppiera bagnandolo con il restante succo di limone. Quando è tempo di servire disporre su un letto di rucola ben lavata i pezzi di avocado e degli spicchi d'arancia tagliati in due, poi i gamberi scolati e, sopra, le fette di capocollo scottate in un dito di olio bollente.

È un piatto di grandi profumi e grandi contrasti come solo l'amore vero sa essere, e lo spumante fresco è lì, per mediare con le sue bollicine tra il calore del capocollo e il gelo dell'avocado, la dolcezza dei gamberi e il piccante della rucola.

E il sale dev'esser nero e il pepe bianco, perché tutto sia diverso da come sembra che il banale non è per chi si ama. Non importa se siete coniugi o amanti, fidanzati o sposati, eterosessuali o omosessuali, io dedico questa piccola cena a tutti coloro che condividono con me l'idea che “chi s'appaga non paga ma, semplicemente, ripaga (se è in grado di farlo)”.

Buon San Valentino a tutti.(di Pino De Luca)

giovedì 10 febbraio 2011

Ricordare la verità:"Italiani nel vero"

Non so bene chi lo abbia ripetuto l'ultima volta, ma è una segnalazione comune in ogni luogo dove si agglomerano “esperti” di comunicazione d'ogni risma: “Una bugia ripetuta mille volte diventa verità.” In ragione delle tendenze politiche si tende ad assegnare questa nefasta affermazione a nazisti o comunisti. Il punto è che la nefasta affermazione non appartiene né agli uni e nemmeno agli altri ma è fatta di uso comune da parte di tanti, tantissimi pacifici e democratici individui che, semplicemente, attraverso la propagazione di una sciocchezza tendono a trarre profitto per sé stessi, raramente, più comunemente per il proprio, come dire, soggetto mantenente, insomma padrone.
Qualche giorno addietro, 27 di gennaio, giornata della memoria. Oggi, 10 di febbraio, giornata del ricordo. Tra le due date due settimane e sulle due date si consumano le menzogne più banali e volgari e si consumano anche sulle due date. Il presente costruisce il passato per giustificarsi.
La radio nazionale, quella della rai e anche le televisioni, per non dire dei film raccontano il 27 gennaio come la data della liberazione di Auschwitz da parte degli alleati. Dovè il falso? Semplice, chi liberò Auschwitz il 27 gennaio fu l'Armata Rossa che, per prima, arrivò pure a Berlino. Il carro armato entra nel campo di concentramento dando forma al sogno del bambino che si salva nascondendosi ovunque nel meraviglioso “La Vita è bella” di Benigni. È un carrarmato con la bandiera a stelle e strisce e Benigni vince l'Oscar. Eppure il carrarmato che entrò ad Auschwitz portava la bandiera rossa e la falce, martello e stella … ma il caro Roberto se lo sognava l'Oscar se avesse rispettato la storia.
Poi le Foibe, qualche decina di migliaia di persone massacrate dai titini alla fine della guerra. Tanta gente innocente buttata nelle grotte carsiche … Tutto vero. Vorrei però riportare un brano del discorso di Benito Mussolini sulla questione istriana:
«Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. [...] I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani»
Il discorso è ben precedente le leggi razziali del 1938 che qualche buontempone tende a definire come conseguenza del patto con Hitler. Mussolini dice queste cose a Pola nel 1920, quando ancora doveva fondare il Partito Nazionale Fascista. Mi piacerebbe che nel giorno del ricordo delle Foibe si ricordassero anche i crimini commessi dagli ustascia e due nomi geografici: Arbe e Gonars.
Abbiamo da liberarci della più grande bugia della nostra storia: “Italiani brava gente”, solo così diventeremo italiani consapevoli. Dopo centocinquant'anni dalla breccia di Porta Pia, forse è ora che l'aspirazione di D'Azeglio sia l'obiettivo per i prossimi cinquant'anni.
So bene che vivo nel paese in cui il capo del sistema scolastico è una signora che ha attraversato tutti gli ordini di scuola conservando i neuroni intonsi: un perfetto robot che esegue gli ordini superiori; vivo nel paese in cui chi parla di meritocrazia alla frase “in media stat virtus” pensa solo alle cosce; vivo nel paese in cui un Parlamento dice di fare le leggi contro i fannulloni e poi si prolunga le ferie perché non ha nulla da fare; vivo nel paese in cui le mignotte hanno il cellulare del Presidente del Consiglio e lo possono chiamare quando vogliono; vivo nel paese in cui si è chiamata rivolta per il cambiamento quella che ha eletto falliti, magnaccia, truffatori e maneggioni di ogni risma al cui cospetto i nani e le ballerine del peggior Craxi fanno la figura dei premi Nobel.
Ma vivo nel paese degli operai che s'alzano la mattina e buttano sangue nelle fonderie e nelle industrie, nel paese di chi sale sui cantieri e ogni volta che torna a casa è felice di aver salvato la pelle, di impiegati costretti a fare lavori alienanti e sbeffeggiati, di donne e di uomini atterriti da un futuro oscuro, di pensionati che vedono sgretolarsi il paese per il quale hanno lottato, vivo nel paese di tanta gente per bene che ha bisogno, io credo, di verità. Per sentirsi italiani. Per sentirsi orgogliosamente italiani, con tanto peso sulle spalle ma anche tanta forza da portarlo senza chinare la schiena.di Pino De Luca