lunedì 24 ottobre 2011

Il valore negato dei prodotti tipici


Siamo in periodo di crisi, uno di quei periodi nei quali il vecchio è putrido e il nuovo stenta a venire alla luce. E quando ciò accade ci si rifugia nell'unico dei peccati capitali pubblicamente confessabile senza esporsi al ludibrio collettivo: il peccato di gola. Ed è così che Chef e Cuoche, meglio se affettati i primi e zie, nonne e affini le seconde, diventano dei veri e propri personaggi mediatici prestando la loro fama e la loro voce anche ad improbabili pubblicità che tentano di far “digerire” mediaticamente dei prodotti mediamente immangiabili.

Per quale ragione però, i produttori degli ingredienti (di qualità) tanto utilizzati non hanno il benché minimo spazio nella rappresentazione mediatica?

Esclusi alcuni appuntamenti come “Linea Verde” e l'abnegazione di Roberto De Petro che da un quarto di secolo s'occupa di produzione alimentare dai campi alle cantine per Telenorba, il resto è fiorir di minipimer, sbattiuova e casseruole di varia specie governati da personaggi tanto lesti di lingua quanto di mano.

Noi crediamo, come dicon tutti, che alla base di una buona cucina ci sono buone materie prime e, come dicon pochi, se vogliamo buone materie prime, il ciclo produttivo deve esser probo, assicurare la giusta remunerazione ai componenti della filiera nel rispetto dell'ambiente in cui si svolge.

Gli alimenti, qualora ce lo fossimo dimenticato, son tutti prodotti dell'agricoltura, ovvero della relazione tra umani e territorio sviluppata e affinata in secoli e secoli di storia capaci di determinare scienza e conoscenza che, in molti casi, ha legato indissolubilmente un prodotto al suo contesto. In qualcuno di questi casi diventando perfino sineddoche. Lardo (Colonnata); Parmigiano (Reggiano); Barolo (Langhe); Primitivo (Manduria); Capocollo (Martina Franca); Cellina (Nardò); e così potremmo proseguire per lunga pezza.

È nato il concetto di tipicità, ovvero di condensato di storia e cultura all'interno di un prodotto polisensoriale come può esserlo un alimento. La tipicità è quindi un valore straordinario, sostanzialmente una miniera alla quale attingono a piene mani Cuoche e Chef per preparare le loro preziose pietanze.

Ne consegue che ragionare sullo sfruttamento intelligente di questi tesori può e deve essere primario interesse per tutta la filiera che in esso è coinvolta, dal bracciante immigrato, maestranza nella coltivazione del pomodoro Regina o del tondo di Galatina, al comunicatore che disegna packaging e rappresentazione.

Ma la filiera è sbilanciata, tralascia segmenti, mostra punti deboli, rischia d'essere infranta dalla pressione dell'omologazione e dell'alimentazione senz'anima.

Occorre allora una vasta, vastissima e continua operazione culturale oltre che colturale. Occorre un processo educativo che informi i consumatori sulle diverse qualità (e proprietà) delle materie prime che si usano in cucina, che aiuti i produttori in modo che una parte della ricchezza ad essi ritorni per poter continuare a svolgere il loro ciclo produttivo, che tenga nella giusta considerazione le maestranze che sono, in definitiva, le articolazioni operative attraverso le quali il condensato di scienza e conoscenza diventa prodotto.

Questa erculea operazione socio-economico-culturale di conservazione, ricerca e formazione non può che far fulcro in chi ne ha strumenti e obiettivo istituzionale ovvero l'Università. E qui che può nascere un centro di coordinamento e stimolo per rendere un settore, il cui ultimo segmento è universalmente apprezzato, esplicito nelle sue parti e fattore di sviluppo e ricchezza.

Proveremo a parlarne venerdi 28 ottobre 2011 nella sala del rettorato alle 16.00, sperando che ci sia qualcuno ad ascoltare e a portare il proprio contributo.

Paradosso dei paradossi è che chiamiamo avanzata una società nella qualeil settore primario è ridotto all'osso (nei paesi “sviluppati” gli addetti all'agricoltura sono meno del 7-8% della popolazione) e dimentichiamo che negli ultimi anni, in Italia, chi ha dato contributo positivo al PIL è proprio l'agricoltura … ma questa è un'altra storia.

Prof. Luigi DE BELLIS
Università del Salento

Prof. Pino DE LUCA
ITIS “E. Fermi” - Lecce




sabato 8 ottobre 2011

Citazionando:Mancanza

“C’è una poesia nel tempio,incisa nella pietra,intitolata “mancanza”.Ci sono solo tre parole ma il poeta le ha cancellate perché la mancanza non si può leggere,si può solo avvertire.”

(Arthur Golden,”Memorie di una Geisha”)